Il Maestro Gilberto Piccinini in mostra a Tortona “Osservando il freddo”
La 11DREAMS Art Gallery presenta la mostra collettiva di pittura e fotografia "Osservando il freddo". Verrano esposte le opere di dieci artisti che hanno analizzato il freddo sia dal punto di vista emotivo che da quello metereologico.
A cura di Sofia Sicula.
Presentazione di Elena Carrea.
Artisti: Matteo Boato, Antonio Caramia, Mario Castrucci, Claudio Costa, Fabrizio Falchetto, Bruna Marenzana, Vittorio Pellazza, Gilberto Piccinini, Gaspare Sicula, Lorenzo Villa.
Inaugurazione sabato 9 marzo ore 18.
Da martedì a domenica ore 16-19,30.
OSSERVANDO IL FREDDO
Le membra si contraggono e il percorso del sangue si restringe, la fatica del flusso diventa un dolore di spillo. Hai freddo. Livore e pallore del volto, di mani e di piedi. Bianco e viola, dove a volte si vede sbocciare un vermiglio di guance, del naso, a scaldare uno sguardo, un sorriso anche, strappato al rigore che ha bloccato i muscoli, alla tensione fisica per mantenere il calore nel corpo.
L’esperienza fisica del freddo possiede una propria gestualità. Stringe e costringe, rannicchia, imbacucca. Ora allontana, ora avvicina. Genera immagini, feconda il linguaggio con cristalli di immobilità, distacco, estraneità reale o simulata. Gli igloo e il Grande Nord. La Guerra Fredda. Il blu dello spazio siderale, del silenzio e della solitudine notturni, delle profondità marine. Il bianco della neve, la trasparenza del ghiaccio e di un vento che fa ruotare grigi che svaniscono e luci che feriscono gli occhi, riflessi di perle, di acciaio. Il verde extraterrestre di aurore boreali.
Nelle opere dei dieci artisti raccolte nella collettiva che la 11DREAMS Art Gallery di Tortona dedica al freddo, tutte queste declinazioni tonali concorrono a raccontarci il fenomeno non solo in rapporto all’ambiente o come percezione dei sensi, ma soprattutto quale lettura degli stati d’animo che possono essere assimilati a rigide temperature. Non manca l’espressione del freddo che sublima nella sua morsa la bellezza della natura; e, in alcune opere, emergono, ridotte all’essenziale in impianti prettamente romantici, quelle atmosfere fatte di giocosità e condivisione che portano alla mente il sapore di ricordi passati, di epoche andate, che hanno il volto degli scenari di neve e gelo di un Bruegel o di un Van Valckenborch. Intagliate nell’immaginario d’infanzia, si animano di toni caldi schioccanti dai falò, da fragranze e luci di candele in giallo, rosso e arancio, dalle vesti di figure in movimento, note andanti brune, ramate. In queste rappresentazioni la fatica del quotidiano si smorza nell’abbraccio della comunità e la vita associata sembra tenere il freddo al di fuori dell’anima. Sono queste, però, sia pure percepibili come passaggi indelebili, immagini di mondi in lontananza.
Una parte dei nostri autori, invece, fiuta e dipinge quella contemporaneità che pulsa nelle arterie delle città. Dipinge contemporaneità. Le rappresentazioni, in questo caso, si concentrano perciò su un gelo che è soprattutto metropolitano o esistenziale. Come a dire che se nell’arte è possibile rintracciare alcuni riflessi della cultura del tempo, molte delle presenti opere portano una riflessione sul freddo che soffia sulle distese urbane dell’oggi, dove diviene il respiro del vivere sempre più “individuale” dei loro abitanti. Il gelo esterno, l’inverno e le bufere, lo accentuano nell’isolamento di spazi virtuali.
Al di fuori dei perimetri cittadini, però, uscito dal cuore dell’uomo, il freddo sposa il paesaggio con vesti di neve. L’ inquietudine della metropoli è un profilo all’orizzonte nel dipinto di Claudio Costa e il crepuscolo invernale nella campagna lombarda, attraversata da un torrente tra file nere di tronchi spogliati, è una gemma di luce azzurra screziata di rosa. Nella natura conduce anche l’opera di Mario Castrucci, che spinge il realismo della rappresentazione dove il gelo assume una grandiosità mitica. La vetta, quasi scolpita dal contrasto tra l’ombra nera e il chiarore riflesso dal bianco titanio del ghiaccio, è monumento a spazi selvaggi la cui bellezza appare incorruttibile. Cattedrale di freddo e silenzio, la montagna di Castrucci sembra protrarsi a picco sul mare nella scogliera innevata dipinta da Gilberto Piccinini. L’immagine si scalda nel tepore di toni terrosi che le brezze marine hanno messo a nudo. Dall’esterno lo sguardo resta ibernato al cospetto della natura nel dramma romantico delle passioni e degli interrogativi che agitano l’esistenza. Spingendosi avanti nel realismo, un vento di luce, sollevando gelido pulviscolo, costringe l’osservatore ad alzare il bavero della giacca di fronte all’opera “A cold day” del fotografo Vittorio Pellazza. Pittore dell’obiettivo, Pellazza si conferma maestro nel trasmettere con i suoi scatti l’esperienza sensoriale racchiusa nell’istante fotografato. Con effetti di nebulosità e sfumature, quindi, lo conduce verso quelle astrazioni interiori dove s’incontra l’universo dipinto da Gaspare Sicula. Il freddo, qui, lascia il paesaggio, entra nella mente. Se, infatti, è l’aria di giorni senza fine, di cieli azzurrati dal bagliore di luna nell’Artico ad avvolgere le figure di Sicula, queste sono distillati di concetto. L’artista esplora la semantica del freddo, la porta a galla sulla superficie del quadro. Tra allegorie procede il linguaggio espressivo di Antonio Caramia, che spesso osserva il freddo come un dato sociale, forza negativa che spezza i rapporti di fiducia su cui poggia il vivere collettivo. Le “isole” vivacizzate da colori e personaggi, che ricordano i piccoli mondi esplorati dal Piccolo Principe nei disegni di Saint-Exupéry, sono allora percorsi da inquietanti brividi. Timbri di bosco, di suolo, di pietra e d’ambra si elevano dal freddo dell’ordine bianco, piatto, raffigurato nel quadro di Matteo Boato, in cui lo spazio è scandito dal profilo netto di edifici addossati. Lo stacco tra il candore delle case e i toni di infissi, tetti e sfondo evoca il raccoglimento di piccoli borghi nell’inverno d’alta quota. Nessuna allusione a scenari invernali, né traccia di neve o di ghiaccio compaiono nell’inquadratura di palazzi e antenne di Bruna Marenzana. Il gelo è lo squallore del casermone che taglia lo spazio, segnandone l’orizzonte prospettico; è il grigio d’un cielo malato, il mezzo busto in primo piano che volta le spalle a chi guarda, diventando suo alter ego. Domina il senso dell’alienazione odierna dell’individuo, la solitudine esistenziale, riflessa anche dai lavori di Lorenzo Villa. Al centro, la singola figura di un bimbo, connotata con un tenero realismo della gestualità, delle ombre sugli abiti. Come il passante di Marenzana, anche loro ci danno le spalle. Restano al di qua, nell’isola dell’infanzia, sospesi su una rete di quadri che scandisce nettamente lo sfondo da cui sembrano affacciarsi da un’enorme vetrata su di un gelido mare di nebbia, di vuoto. Al contrario si volta a fissare l’osservatore il candido bambino di carta di Fabrizio Falchetto. Dietro di lui, il perimetro di una camera con dipinti alle pareti – finzione dell’arte nell’arte – richiama alla mente l’atelier di un pittore. Domina il blu e lo spazio è freddo, mentre la piccola, fiera figura incarna l’isolamento dell’artista, il suo senso di precarietà ed estraneità ad ogni acritico conformismo.
ELENA CARREA