Qual è lo stato attuale dell’emancipazione femminile nel nostro Paese?
Sappiamo che dopo millenni di cultura patriarcale, nella seconda metà del secolo scorso qualcosa è decisamente cambiato e i sistemi giuridici dei Paesi occidentali, che a quell’epoca ancora si esprimevano nei confronti della donna con norme di poco diverse da quelle del Diritto Romano, hanno dovuto prendere atto del grande cambiamento culturale avvenuto e si sono adeguate. In Italia, le donne hanno conquistato il diritto al voto; la parità dei sessi è sancita dalla Costituzione e il diritto di famiglia vi si è uniformato di conseguenza; dopo dure lotte è stato riconosciuto il diritto di divorzio e di aborto in strutture pubbliche che garantiscano la salute di chi vi si rivolge; e ancora, l’adulterio, una volta previsto come reato per la sola donna, non è più considerato tale dalla legge e lo stupro viene finalmente riconosciuto come delitto contro la “persona” e non più come un generico e quasi veniale reato contro la morale; l’uxoricidio per motivi di onore è stato ricondotto nell’alveo di un delitto di omicidio; ecc. . Inoltre, i grandissimi progressi della scienza medica in materia di contraccettivi permettono di vivere una vita sessuale più serena e di evitarne o programmarne le conseguenze. Molte donne hanno intrapreso occupazioni prima del tutto a loro proibite.
Tuttavia ciò non basta: la legge può anche camminare spedita, ma il costume sociale è molto più lento ad evolversi e può opporre resistenza alla sua applicazione o disattenderla.
Il patriarcato che ha imperato per millenni e, a tutt’oggi, sostenuto da sistemi religiosi sempre conservatori, è penetrato capillarmente nella cultura sociale condizionando i comportamenti, il linguaggio, la percezione degli individui e assegnando ai generi sessuali atteggiamenti morali specifici, indiscutibili come tabù.
L’attuale crisi economica contribuisce in notevole misura a rendere stentata l’evoluzione del costume, in quanto non consente alle nuove generazioni di trovare e di mantenere un lavoro. Per le donne, poi, a tutto ciò si assomma la cronica insufficienza, o totale mancanza, di strutture destinate ad alleggerire i compiti di cura familiare che – e per chissà quanto tempo ancora – gravano prevalentemente sulle sue spalle.
E il lavoro è fondamentale nella vita di una persona, anche quello considerato nella sua accezione più elementare di prestazione d’opera dietro retribuzione, perché consente autonomia economica. Cultura ed autonomia sono le chiavi della libertà. Infatti, l’una sviluppa quello spirito critico e quelle conoscenze che sono necessarie a migliorare la percezione e la consapevolezza di se stesso e del mondo in relazione; l’altra è necessaria per programmare la propria vita senza dover dipendere da nessuno per il proprio sostentamento. Ambedue questi valori, poi, sono interdipendenti e consequenziali, ambedue possono portare alla realizzazione di sé.
Oggi le donne hanno raggiunto notevoli traguardi, inimmaginabili in passato: molte sono acculturate con ottimi risultati e sono riuscite a ottenere posti dirigenziali. Tuttavia sono ancora poche quelle che, malgrado il talento e l’ottima preparazione professionale, possano competere con successo con i colleghi maschi. In genere, quando deve essere scelto un dirigente apicale e sono candidati a tale incarico due persone di sesso diverso, ancora troppo spesso si dà la preferenza al maschio perché tale. E noi vediamo con disappunto quanto poche siano le donne massimi dirigenti di Amministrazioni pubbliche o private, quanto poche le deputate alla Camera o al Senato, quanto poche ancora nelle Alte Magistrature, comunque poche presenti nei posti dove si prendono le decisioni che contano.
Per migliorare questa situazione si pensa di obbligare con leggi le Aziende private e le Amministrazioni pubbliche a riservare nella nomina dei propri dirigenti quote di preferenza da destinare alle donne. Si tratta delle cosiddette “quote rosa”.
Molte donne sono perplesse al riguardo e assumono un atteggiamento decisamente negativo di fronte a tale iniziativa, perché ritengono che le quote accentuino una condizione di inferiorità ancora non debellata; perché non credono che basti una legge, specie se male applicata, a cambiare la mentalità sociale e perché, giustamente, vogliono che le donne raggiungano posti di comando esclusivamente per i loro meriti. Tuttavia, va considerato che le “quote rosa” potrebbero aprire alle donne porte ancora a loro prevalentemente chiuse, e permettere con il peso della loro presenza, ad esempio, decisioni che finalmente risolvano alcuni basilari problemi della famiglia, quelli cioè che le tengono da millenni inchiodate a mansioni sempre sottovalutate per importanza e gravità e che rubano loro una grande quantità di tempo vitale. Prendendo in considerazione solo un risultato come questo e tralasciando ogni altra considerazione, ciò permetterebbe alle donne, a tutte le donne, di guadagnare l’occasione per dedicarsi ad una maggiore e più proficua partecipazione sociale e alla cura di sé, intesa come ampliamento della propria cultura ed eventuale scoperta e coltivazione del proprio talento.
Per queste ragioni, a nostro avviso, malgrado la rispettabilità delle opinioni di chi è propensa al “no”, le quote rosa sono da attuare. Ancora il patriarcato è vivo e vegeto, ancora pronto in ogni circostanza a riprendersi i suoi privilegi. Pertanto, non possiamo permetterci il lusso di rinunciare ad un’arma contro una cultura agguerrita, consolidata e pericolosa. Inoltre, è utile sottolineare che se anche una legge non basta a cambiare nell’immediato la cultura di una società, tuttavia la sua applicazione sistematica e puntuale, col tempo e con la perseveranza un qualche risultato finirà col darlo: d’altra parte persino una goccia d’acqua cadendo sempre sullo stesso punto riesce col tempo a perforare la roccia…
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